Piano Rancio: la Colonia estiva dei Martinitt

Gli anni cinquanta del secolo scorso erano ancora, a Milano, nel periodo invernale epoca di grandi nebbie e di freddo intenso, e noi piccoli ospiti del collegio dei Martinitt non vedevamo l’ora che arrivasse la primavera e poi, trionfante, l’estate, e con questa l’epoca delle vacanze.

Allora si facevano tre mesi filati di vacanza, subito dopo il termine delle lezioni, si faceva un mese di mare ospiti di qualche colonia sul litorale romagnolo, ma la gran parte di noi aspettava ansiosamente la vacanza a Piano Rancio, alle sorgenti del Lambro, dove si trovava la casa di vacanza del nostro collegio.

Qui eravamo lasciati praticamente allo stato brado, lo spazio cintato dell’area del collegio era vasta e permetteva una infinità di giochi, gli istitutori per lo più non intervenivano e ci lasciavano fare, non era ancora l’epoca delle vacanze organizzate e degli animatori.

Quando non erano programmate delle gite, si stava tutto il giorno nello spazio a nostra disposizione e così potevamo sfogare la nostra energia giovanile. L’unico diversivo era la domenica, messa al campo se il tempo era bello e poi l’attesa della visita parenti. Mia mamma veniva a trovare mio fratello Giancarlo e me due volte al mese, per lei era un viaggio impegnativo: in treno da Milano sino ad Asso, poi la corriera sino a Magreglio e l’ultimo tratto sino alla colonia a piedi.

Noi aspettavamo ansiosi sul cancello e quando la scorgevamo all’orizzonte gli correvamo incontro. Per noi era una giornata speciale, si poteva stare tutto il giorno in sua compagnia e si andava a mangiare in uno dei rifugi vicino alla colonia, mi ricordo i nomi di questi luoghi: rifugio Gabriele, rifugio Annamaria, rifugio Stella Alpina, il più vicino alla colonia e infine Il rifugio del Diavolo vicino alla sorgente del Lambro.

Già nel primo pomeriggio la mamma doveva salutarci per non perdere la corriera per tornare a Milano.

La cucina e l’infermeria erano seguite da un piccolo gruppo di suore, che dal collegio ci seguivano in montagna. Mio fratello più grande di me, spesso, con gli amici, superava il confine del collegio per andare nei boschi a cercare funghi che poi si faceva cuocere da una delle suore, a me spettava sempre una porzione di queste sue cacce.

NOCCIOLE, ZUCCHERO E …..ACQUA DEL LAMBRO

Noi più piccoli ci accontentavamo della raccolta dei frutti che il bosco ci offriva: lamponi, fragole, more, ciliegie selvatiche e soprattutto nocciole. Attorno al nostro campo c’erano moltissimi boschetti di nocciole e noi con cura scientifica lo spogliavamo. Non ci bastava di consumarle appena raccolte ma, con mezzi approssimativi, che terrorizzerebbero i cultori dell’igiene, avevamo inventato  anche il croccante.

Lo zucchero lo si “rubava” durante le gite quanto ci si fermava in qualche rifugio, non restava nemmeno una bustina per il caffè, i gestori dei rifugi penso che vedevano con terrore il nostro arrivo, non avevamo soldi e quindi non potevamo essere dei buoni clienti, solo qualche volta l’istitutore ci offriva un gelato e per noi era festa.

Raccolto lo zucchero e le nocciole sgusciate, si recuperava un contenitore, poi si accendeva un fuoco, tutto accuratamente senza farsi vedere dagli istitutori, si faceva caramellare lo zucchero sciolto in acqua. Per quest’ultima  molto usata era l’acqua della sorgente del Lambro, si andava con le borracce a raccoglierla.

Pronto lo sciroppo, si immergevano le nocciole e si lasciava raffreddare l’impasto, ho ancora in bocca il gusto di questa leccornia, quante volte ci si scottava la lingua per l’impazienza di consumare il nostro prodotto. Anche questo fatto, sicuramente banale, fa parte del mito infantile e del periodo passato nel collegio dei Martinitt in compagnia e con l’aiuto del Fiume Lambro.   

Testo scritto e presentato da Roberto Gariboldi, giornalista, storico e archivista della Certosa di Milano.