Siamo finalmente arrivati a Milano e la grande città non poteva fare accoglienza più grandiosa al Fiume Lucente.

Parco Lambro


Il Parco Lambro, uno dei più grandi della città con un’estensione di 773mila metri quadri, progettato nel 1936 da Enrico Casiraghi, si poneva l’obiettivo di riprodurre una sintesi del tipico paesaggio lombardo, dalla collina, alla pianura ricca di acque e dalla vegetazione tipica dei diversi ambienti. La collina con le valli e due piccoli laghi, la pianura intersecata dal fiume e da innumerevoli rogge, boschi di querce e carpini bianchi, salici lungo le sponde, cascine con prati irrigui e arativi. Il parco fu quasi completamente distrutto nel corso della seconda guerra mondiale, quando molti milanesi, per combattere i rigori dell’inverno, venivano qui a far legna. La ricostruzione fu completata tra gli anni ’50 e ’60.

Una passeggiata tra le cascine e i mulini storici del Parco Lambro


Nell’area del Parco sono presenti cinque cascine: cascina San Gregorio Vecchio, cascina Mulino Torrette, cascina Cassinetta San Gregorio, Cascina Biblioteca e cascina Mulino San Gregorio. Solo la prima, è ancora attiva come azienda agricola, La seconda, è diventata la sede di Exodus ed ha conservato le ruote a pale e le macine dell’antico mulino.
La Cascina Biblioteca, in attività fino gli anni settanta, è diventata la sede di una comunità per disabili, mentre la cascina Mulino San Gregorio, ospita le G.E.V. le Guardie Ecologiche Volontarie del Parco che hanno recentemente realizzato un istruttivo percorso botanico.


Uscendo dal Parco Lambro eccoci a Lambrate, uno dei quartieri milanesi in continua crescita e trasformazione.
Con il boom economico degli anni ’50, ha visto la nascita di grandi fabbriche, ma a partire dagli anni ’70, con la dismissione e la delocalizzazione della maggior parte degli impianti produttivi, ha vissuto uno scenario da paesaggio post-industrial. Oggi, con il recupero degli ex spazi industriali, Lambrate vive una fase di rinnovamento con un’identità culturale molto marcata.

La chiesa di San Martino a Lambrate – Milano


Tra le cose da vedere a Lambrate, spicca la chiesa dedicata a S. Martino.
Le sue origini sono molto antiche, tanto che un luogo di culto dedicato al santo di Tours è citato in un documento del 1181. Nel 1599 l’arcivescovo Carlo Borromeo elevò la chiesa a parrocchia e la visitò varie volte. Quel che è certo è che la vecchia chiesa venne demolita nel 1913 e, dall’anno seguente, si iniziarono i lavori per costruirne una nuova, in stile neoromanico, su progetto dell’architetto Ugo Zanchetta, portata a termine nel 1928 e inaugurata nel 1931 dal cardinale Ildefonso Schuster. La chiesa è costruita quasi per intero, secondo la tradizione romanica lombarda, in cotto, ma con inserti in granito, pietra e cemento. La facciata principale, è a salienti corrispondenti alle tre navate dell’interno, fortemente ispirata alla soluzione neoromanica della basilica di S. Sepolcro.


Ai lati dell’ingresso, entro due archi a tutto sesto, si trovano due trifore che illuminano le na-vate laterali, mentre quella principale è aperta da cinque finestre a tutto sesto e, più in alto, da una finestra a croce ispirata a quelle di S. Michele e S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia.


Corona l’insieme una teoria di archetti pensili a tutto sesto, anch’essi di ispirazione romanica. L’ingresso è un protiro rientrante verso la chiesa, a tre archi a tutto sesto, d’ ispirazione bizantina, come attesta la forte somiglianza con l’arco trionfale della basilica di S. Vitale a Ravenna. Sulla lunetta del portale centrale, elemento superstite della vecchia chiesa, una scultura in pietra raffigurante S. Martino che dona il mantello al povero.
I fianchi ripetono gli stessi motivi architettonici della facciata, mentre, sul retro, si nota, la monumentale abside maggiore, con aperture a tutto sesto sormontate, per ogni campata, da trifore cieche e da una teoria di archetti pensili, secondo i modelli della absidi romaniche di S. Ambrogio, S. Nazaro Maggiore e della basilica di Agliate, nonché delle contempo-ranee soluzioni per S. Agostino.


A destra della facciata sorge il campanile, originale quattrocentesco per i primi quattro piani, ma completato nel 900, per la parte con l’orologio e la cella campanaria, contenente cinque campane.
Attraverso il protiro si accede all’interno, caratterizzato da una particolarità, unica a Milano: apparentemente si tratta di tre navate, ma, a un più attento esame, verso la parte absidale, si nota che due corpi laterali creano altre due navatelle, che, pertanto, diventano cinque.
Un altro particolare rimanda alla tradizione romanica: l’utilizzo di capitelli in pietra, che sono diversi per ogni colonna. Nella chiesa si trovano anche alcune opere d’arte: nell’abside in fon-do alla navata destra c’è uno stendardo affiancato da una statua della Madonna della Cin-tura, sovrastata da un baldacchino baroccheggiante.
Nell’abside maggiore campeggia un grandioso mosaico raffigurante Cristo benedicente in trono, opera di Trento Longaretti (1982), mentre nella navata estrema sinistra si trova una tela di Vanni Rossi (1951)

Le sedi storiche: l’orfanotrofio dei Martinitt

A Lambrate troviamo anche una istituzione tra le più famose di Milano: I MARTINITT.


Girolamo Emiliani, figlio di un senatore veneziano, dopo la propria liberazione dalla prigionia di guerra (da lui ritenuta miracolosa), devolvette tutti suoi averi ai poveri e radunò tutti gli orfani in una sua proprietà sulla laguna di Venezia. Attorno a lui si formò un ordine religioso, quello dei Somaschi, dedicatosi alla cura degli orfani.

Gruppi di orfani furono raccolti anche in altre città, inclusa Milano dove si narra che “quell’illustre filantropo raccogliesse i poveri fanciulli orfani, derelitti e vagabondi di Milano e li accogliesse in un locale situato nelle vicinanze della Chiesa di S. Sepolcro ed in seguito in un altro in via del Crocifisso.

Il duca di Milano, Francesco II, nel 1532 offrì la possibilità di radunare gli orfani milanesi in un locale in via del Giardino (l’attuale via Manzoni, all’angolo con via Morone). A quel locale era annesso un oratorio, costruito nel 1529 e consacrato a San Martino di Tours. Il linguaggio popolare associò le due istituzioni: i ragazzi orfani vennero chiamati Martinitt e l’Oratorio divenne “San Martino degli Orfani”.


L’organizzazione delle orfanelle ricevette da San Carlo Borromeo una prima sede a lato della Chiesa di Santa Caterina. Le orfanelle presero il nomignolo di “Stelline” dal nome del monastero dell’ordine delle monache benedettine di Santa Maria della Stella, L’orfanotrofio femminile rimarrà in quei locali fino alla sua chiusura nel 1971.
Nel 1772 su disposizione di Maria Teresa d’Austria, i Martinitt lasciarono via Manzoni e si trasferirono, nell’area del convento di San Pietro in Gessate.
Napoleone, nel 1796, trasformò la sede di San Pietro in ospedale militare.

I Martinitt allora si trasferirono in alcuni locali di Brera e poi nell’ex convento di San Francesco Grande. Nel 1803 essi tornarono nella vecchia sede di via Manzoni che li vide, nel 1848, come staffette degli insorti negli scontri delle Cinque giornate di Milano, spostandosi da una barricata all’altra.

La nuova sede dei Martinitt

Famosa è la Banda dei Martinitt nata nel 1861 ed ancora attiva.

Verso la fine degli anni venti, sull’area della vecchia Polveriera spagnola divenuta cascina, si cominciò a costruire, su progetto dell’ingegnere Lodigiani e dell’architetto Alpago, la nuova sede dei Martinitt, di via Pitteri, inaugurata il 24 ottobre 1932 .

Lost Italy: Stabilimento Innocenti di Lambrate


Lambrate à stato conosciuto per la presenza dell’Innocenti S.p.A. Azienda metalmeccanica fondata negli anni ’30 che, dopo la seconda guerra mondiale, aveva diversificato la sua produzione, affermandosi nel mercato delle motociclette e delle automobili.

Cesserà definitivamente la produzione nel settore motociclistico nel 1971 e nel settore automobilistico nel 1993.


Tutti ricordiamo la mitica Lambretta, lo scooter che nel 1950 raggiunse la produzione-record di 100.000 esemplari l’anno.

Chiesa di San Lorenzo in Monluè


Percorrendo la Tangenziale Est verso San Donato, ci troviamo a sfiorare un piccolo campanile che sporge da un complesso rurale di difficile identificazione, uno dei luoghi più suggestivi della Milano medioevale che la Tangenziale ha sfregiato senza ritegno: l’Abbazia di Monluè.


La parola abbazia evoca una grande chiesa con un grande monastero, mentre qui troviamo una cascina con una chiesetta. Non fermiamoci alle apparenze. Andiamo a vedere da vicino questa cascina dove si è scritta una grande storia della generosità milanese.


Già l’antico nome della zona ci lascia un po’ increduli. Mons Luparium, “Monte dei lupi”, sembra impossibile, ma era l’antico nome di Monluè. Probabilmente, in inverno scendevano lungo il percorso del Lambro, che scorre lì accanto, fino a quando un gruppo di monaci Umiliati non decise, nel XII secolo, di farne uno dei più importanti centri del loro ordine affratellato ai Cistercensi di Chiaravalle.
Gli Umiliati sono stati un movimento religioso che fiorì in Lombardia e si sviluppò nel nord Italia tra il XII ed il XIII sec. le cui origini si perdono nel mito

Quando il Barbarossa conquistò Milano, identificò nei nobili cittadini i suoi veri nemici. Fece molti prigionieri tra la nobiltà e gli impiegò come manodopera nella nuova Zecca Imperiale aperta nei pressi dell’attuale Nosedo.


Alcuni di loro furono esiliati in Germania, maturarono una conversione religiosa e, tornati in patria, decisero, con altri aderenti, di formare una comunità religiosa. Questo gruppo di persone, scelse di adottare un modello di vita semplice, libera da menzogne, liti (giudiziarie) e giuramenti seguendo la Regola di San Bernardo.


La loro diffusione nel territorio ambrosiano e lombardo, fu capillare e nel 1216 si contavano almeno 150 comunità regolari ed un considerevole numero di laici viventi con le proprie fami-glie, tutti costantemente impegnati in attività commerciali ed artigianali, tra cui spiccavano l’allevamento ovino, la produzione di lana, la tessitura e, grazie alla disponibilità monetaria ed all’evoluzione della vita economica cittadina, anche l’attività di prestito senza interessi o comunque di assistenza economica.


A questo ordine di monaci, noti per la precisione e l’onestà, il Comune di Milano ed altre città della Lombardia, appaltavano la riscossione delle tasse, dei dazi e dei pedaggi, con ampia facoltà di decidere se e come farle pagare per non dover attuare ingiustizie, o gravare troppo sui contadini e provocare inutili rivolte.


Gli Umiliati erano noti come Monaci Tessitori. Si deve a loro l’invenzione della “follatura” un metodo di costipazione della lana tramite un sistema di battitura attivato da una ruota ad acqua, fino a creare il feltro, come oggi lo conosciamo, anche con il nome di Loden.


Oltre che all’attività tessile, gli Umiliati si dedicavano all’accoglienza ed all’assistenza dei pellegrini; per questo sovente i loro monasteri sorgevano al di fuori delle mura cittadine.
La loro sede centrale era in Santa Maria in Brera, nel posto oggi occupato dalla Pinacoteca L’area attigua al Lambro fu ricevuta in donazione, ma non era delle più felici.

Il fiume era imprevedibile, capace di estese alluvioni come di minime portate d’acqua. La comunità lavorò molto per farne un borgo dove fosse possibile vivere degnamente. Sempre nel XII secolo iniziò la costruzione dell’abbazia, in stile romanico-lombardo, la cui facciata si presenta singolarmente doppia. Una dà accesso alla chiesa, l’altra alla Sala Capitolare, dove si riunivano i monaci.


Gli Umiliati si suddividevano in tre gruppi: i chierici, che divennero un Ordine religioso (praticavano il celibato e vivevano in una casa comune), i laici, uomini e donne organizzati in gruppi di vita comunitaria (non pronunciavano i voti e potevano sposarsi), il terzo gruppo era composto sempre da laici che però praticavano solo una forma limitata di povertà volontaria.

Tutti e tre i gruppi s’impegnavano a donare ai poveri quello che eccedeva il normale fabbisogno. Le persone che ne fecero parte erano spesso ricchi cittadini, nobili, religiosi e altre persone privilegiate. Il più noto degli Umiliati fu Bonvesin Della Riva, cronista e storico.


L’ordine divenne così potente da entrare in attrito con la chiesa del tempo. Gli esattori, per quanto onesti, non hanno mai goduto di grande popolarità ed il fatto che i monaci donassero alla popolazione i tessuti di loro produzione, li mise in forte contrasto con la Corporazione dei Lanaioli ed attorno a loro si crearono calunnie, diffidenza e rivalità fino sospettarli di eresie calviniste.


L’ordine fu posto sotto stretto controllo dal cardinale Carlo Borromeo, il quale nel 1570 sfuggì, si disse “miracolosamente” ad un attentato ad opera di un monaco Umiliato, che gli sparò un’archibugiata. Papa Pio V ordinò quindi lo scioglimento dell’ordine, tutti i beni furono sequestrati e rivenduti o assegnati agli altri ordini ed in particolare ai Gesuiti che occuparono il palazzo di Brera, fondando quello che sarà conosciuto come il Collegio Svizzero.

Inizia da qui la lenta decadenza dell’abbazia: la Sala Capitolare fu trasformata in cascina e poi in abitazione per i contadini.


L’attuale Cascina Monluè sorge nel luogo in cui nel 1267 gli Umiliati di Santa Maria di Brera installarono una “grangia“, un’azienda agricola monastica con relativa chiesa.


Il complesso rurale, è strutturato secondo l’impianto tipico delle abbazie umiliate. La struttura comprendeva una cascina a corte chiusa con gli edifici monastici e i rustici agricoli, circondati da campi e prati irrigui permanenti. Con l’abbondanza di canali e fiumi nella zona, una volta disboscato, il territorio fu trasformato in una fertile zona agricola caratterizzata da campi permanenti irrigui (marcite) e da larghe zone arative, ancora oggi ben visibili.

L’intero impianto è ancora ben riconoscibile, sebbene frazionato e rappresenta uno dei migliori esempi sopravvissuti di quel tipo di organizzazione. Si sviluppa attorno a un’ampia corte, nel cui lato est si trova un mulino molto rimaneggiato, mentre in quello sud, ove si apre l’ingresso principale, si estende la chiesa di S. Lorenzo.


La chiesa (XIII secolo) presenta una facciata a capanna con due strette monofore a fianco di un oculo centrale, soluzione che ricorda la distrutta S. Maria di Brera, coeva alla fondazione degli Umiliati. L’interno, semplice per le forme e per l’uso dei materiali, è a pianta unica con transetto, abside rettangolare e due cappelle aggettanti. La copertura dell’aula, in origine a capriate lignee, è costituita oggi da un soffitto a cassettoni mentre il coro è coperto da una volta a crociera. Nel corpo occidentale adiacente la chiesa, l’antica sala capitolare, sono state rinvenute splendide decorazioni a tralci vegetali, stelle caudate e fiori quadrilobati, che attingono ad un repertorio ampiamente diffuso nella Lombardia del secondo Duecento e del primo Trecento.


Le aree che circondano il borgo agricolo sono state trasformate in parco e sistemate con prati, boschetti e lunghi filari di pioppi lombardi lungo la sponda destra del Lambro. Sono attualmente in corso alcuni progetti per migliorare la connessione col vicino Parco Forlanini, po-sto subito al di là di viale Forlanini.


A causa della sua posizione, la Cascina Monluè subì un progressivo spopolamento acuito dalla realizzazione della Tangenziale Est, aperta al traffico nel 1971, che la isolò completamente dal resto della città.
Oggi nei fabbricati attigui all’abbazia è attiva una Comunità di Accoglienza per migranti minori non accompagnati.


Il borgo intorno alla grangia, continuò a prosperare fino agli anni 50 del Novecento, quando massacrato da industrie e tangenziale perse la sua vocazione rurale. Ecco perché Monluè è stato definito “il borgo umiliato due volte”: una perché fondazione dell’omonimo ordine, l’altra per la perdita della vocazione agricola.


Lungo il Lambro, nelle immediate vicinanze, troviamo altre testimonianze del movimento monastico del XIII secolo. Antiche abbazie medievali costruite nelle campagne lontane dai traffici cittadini. Chiaravalle, Viboldone, Santa Maria in Calvenzano, Mirasole, meritano oltre a un’attenta visita, un profondo raccoglimento dove il silenzio (qui purtroppo manca causa la tangenziale) invita a una meditazione che solo il nostro cuore è in grado di percepire e sono ancora luoghi dove si respira quella spiritualità che inevitabilmente si sta perdendo.

Il Taliedo, primo aeroporto di Milano


Non lontana da Monluè, troviamo il quartiere di Taliedo, dove sorgeva “il primo aeroporto di Milano” denominato Aerodromo d’Italia e dove, nel 1910, si svolse il Circuito Aereo Internazionale, una gara di velocità aperta a piloti e apparecchi stranieri.


La storia di Taliedo è fortemente legata all’ Ing. Gianni Caproni che, nel 1913, sceglierà quest’area per edificare le Officine Aeronautiche Caproni, divenute in seguito, con i suoi 45.000 addetti e il 25% della produzione nazionale, una delle più importanti industrie di aviazione italiane e internazionali.


Nei primi anni trenta del 900, Taliedo divenne la sede principale della compagnia aerea Avio Linee Italiane.

l’Osteria delle Quattro Marie

Prima di lasciare Milano, il fiume tocca un quartiere con una lunga storia.
Dopo lo scioglimento degli Umiliati, l’aera venne acquistata dal “Luogo Pio Elemosiniere delle Quattro Ave Marie”, un’antica confraternita deputata ad opere caritatevoli.

Su questo area sorgeva “l’Osteria delle Quattro Marie”, situata in corrispondenza del quarto miliare della strada consolare romana che congiungeva Milano a Cremona e ancora oggi è conosciuta come Osteria del Bagutto: uno dei più antichi ristoranti del mondo tuttora esistenti di cui si abbia notizia.


Il toponimo che indica il luogo dove sorge il Bagutto, compare in un atto notarile del 1284, conservato presso l’Archivio di Stato di Milano, nel quale Corrado Menclozio, scambia con i Frati Umiliati dell’Abbazia di Santa Maria di Brera dei beni immobili “detti al berlochum.


Il termine “berlochum”, di origine longobarda, significa “luogo dove si mangia” e conferma l’esistenza di una taverna dove oggi sorge il Bagutto, sulle rive della roggia detta Molinara, per-ché azionava le ruote di molti mulini, compreso il Mulino della Spazzòla tuttora esistente.
Il nome del locale deriva dall’antico termine lombardo “begutto”, ossia bagordo o ingordo.


I miliari (pilastrini di marmo o granito con inciso il numero progressivo indicante la distanza in miglia dal capoluogo), per consuetudine erano posti nei punti di sosta e ristoro per i viandanti. Col passare dei secoli Il Bagutto mutò anche il nome. Nel 1400 era “Hostaria dei Gamberi”, pescati nella vicina roggia Spazzòla; nel 1580 era “Hostaria de Quattro Ma-rie alla Canova”.


Il borgo, divenuto un quartiere di Milano nel 1925, iniziò ad acquisire una sua fisiono-mia nei primi anni del Novecento, con l’insediamento di una trentina di “artigiani lavandai” che trovarono proprio qui le acque limpide delle rogge ed i prati erbosi per la stesa dei panni.
Il fiume scorre. Lasciamo Milano per il prossimo approdo: San Donato Milanese.