#Porto di Mare

Prima di lasciare Milano, facciamo una breve deviazione verso una località dal nome veramente curioso visto il contesto in cui si trova: PORTO DI MARE.

Intorno al 1900, il traffico sui Navigli milanesi era molto congestionato per il trasporto di sabbia e altri materiali provenienti dal Lago Maggiore.  Inoltre era già in atto il piano regolatore Beruto del 1884, che prevedeva la scomparsa dei canali dal centro città. Il Genio Civile propose di creare un nuovo porto che mettesse in comunicazione Milano al mare attraverso il Po e si identificò la zona di Rogoredo che,essendo un’area rurale, avrebbero potutofavorire l’installazione dimolte industrie edove tendono naturalmente a convogliare tutte le acque del milanese. La creazione di questa nuova Darsena avrebbe potuto portare alla dismissione di quella storica.

Nel 1917 il Comune di Milano, approvò il progettoe nel triennio 1919-1922 si iniziò a scavare il Porto di Milano, ma ben presto i lavori vennero bloccati.

Negli anni ’30 il progetto venne ripreso ed ampliato con l’idea di realizzare un collegamento tra Milano e Cremona per raggiungere il Po. Nel 1941 il progetto era pronto, ma non partì a causa degli eventi bellici e dopo alterne vicende, nel 1972 venne fondato il Consorzio CanaleMilano-Cremona, acquistati i terreni e scavatimeno 20 km di Canale tra Cremona e Pizzighettone.

Intanto, il 31 marzo 1979 giungeva in Darsena l’ultimo barcone col suo carico di sabbia, mettendo la parola fine agli usi commerciali delle vie d’acqua milanesi. Nel 2000 il Consorzio del Canale è stato messo in liquidazione.

#San Donato Milanese

Torniamo lungo il Lambro ed incontriamo San Donato Milanese.

Lungo il fiume,accanto agli Orti Urbani del comune, nel 2017 è stata completata una piccola centrale idroelettrica da 171,37 kW. Sempre lungo le sue sponde è stata creata dal WWF l’Oasi Levadina, un’area di circa 12 ettari.

Si ritiene che a fondare San Donato sia stato un abate della Abbazia di Chiaravalle. Il territorio, è stato teatro di molti eventi storici.

Il 9 settembre 1158 Federico Barbarossa, vi si stabilì per sette giorni dopo la resa di Milano. Il 13 luglio 1278 ci fu lo scontro tra le fazioni dei Visconti e dei Torriani per il possesso del ducato di Milano.

Poi la più famosa battaglia dei Giganti del 13 e 14 Settembre 1515 che vide contrapposte truppe francesi sostenute dai lanzichenecchi e quelle svizzere. Alla fine dello scontro, il vincitore Francesco I pose il suo quartier generale presso l’attuale Cascina Roma, dove i nobili milanesi firmarono l’atto di sottomissione.

San Donato ebbe anche un ruolo storico subito dopo le cinque giornate di Milano, poiché, sempre a Cascina Roma,4 agosto 1848,il generale Josef Radetzky ed il podestà di Milano, misero la parola fine alle cinque giornate di Milano con la firma dell’armistizio tra gli austriaci ed i piemontesi che decretò la fine della Prima Guerra d’Indipendenza.

Interessante la Chiesa di Santa Barbara, voluta

da EnricoMattei ed inaugurata nel 1955.

Progettata dall’architetto Mario Bacciocchi, ospita un mosaico di 700 metri quadrati di VincenzoTomea, rappresentante la crocifissione di Cristo, che tra i mosaici a parete è il terzo per grandezza tra gli europei ed il primo in Italia. La porta bronzea della chiesa è opera di Arnaldo e Giò Pomodoro, mentre il soffitto è ornato da pannelli di Tommaso Cascella

#Viboldone

Poco più a valle troviamo San Giuliano Milanese, un comune composto da frazioni ricche di tanta storiaViboldone sede di una famosa Abbazia romanica del 1176-1348, Zivido teatro finale della Battaglia dei Giganti del 1515, Borgolombardo, Sesto Ulteriano, Mezzano, e ancora Cologno, Pedriano, Carpianello, sedi di antichi e ben conservati nuclei rurali.In questa area, troviamotestimonianze archeologiche un po’ ovunque, ma principalmente nella necropoli rinvenuta alla fine dell’800 a Mezzano, dove vi sono resti gallo-romani.

A partire dal XI sec. D.C.tutta l’area del sud Milano è stata interessata da un ingente lavoro di ingegneria agricola che, utilizzando le acque dei fontanili, portò alla nascita delle marcite, presenti ancora in parte nelle nostre campagne.Anche in questo caso è stata determinante l’attività dei Monaci Umiliati che si insediarono a Vico Boldonis (Viboldone) con un abbazia la cui costruzione fu avviata nel 1176 (epoca a cui risalgono le strutture più antiche) e terminata nel 1348, data di costruzione della facciata e degli affreschi posti all’interno.

L’Abbazia di Viboldone, dedicata ai Santi Pietro e Paolo,è stata una delle prime Case dell’Ordine e certamente una delle più celebri degli Umiliati. Lo stile architettonico, caratterizzato dall’esaltazione della semplicità delle linee, ne fa una delle migliori interpretazioni della transizione dallo stile romanico al nascente gotico.La sua costruzione nasce dalla collaborazione di un architetto lombardo e di un architetto e scultore toscano, forse il pisano Giovanni da Balduccio.Gli affreschi all’interno, sono attribuiti ad artisti della scuola di Giotto, venuti in Lombardia per sfuggire all’epidemia di peste diffusa a Firenze in quegli anni.

Testimoniano gli archivi storici che la città, sorgendo a lato della via Emilia, vide sfilare nei secoli cortei di papi, re, ministri, uomini di stato ed ambascerie varie, che si fermavano a Viboldone prima di entrare in Milano.

#Zivido

La bella frazione di ZIVIDOconserva ancora l’aspetto di un villaggio medievale ed è ricca di edifici storici, tra cui il castello, datato nel XIII secolo. Non visitabile.

Abbiamo già accennato alla”Battaglia dei Giganti“, causata dalle pretese dinastiche di Francesco I, re di Francia, sul ducato di Milano. Il 12 Settembre 1515, il re dei francesi entrò a San Giuliano incendiando tutte le case trovate sul suo cammino, per poi ritirarsi dietro la linea difensiva, il cui quartiere generale era installato nella cascina di Santa Brera.

A contrastare le armate francesi, vi furono le truppe svizzere assoldate da Massimiliano Sforza, duca di Milano forti di oltre 10.000 mercenari che si attestarono a San Giuliano. La battaglia provocò oltre 12.000 vittime e si meritò l’appellativo di Battaglia dei Giganti,dalla storica frase del Maresciallo Trivulzio” …Non di uomini, ma di giganti…”, riferita ai soldati che si batterono fra loro in quei giorni.

Il ducato di Milano passò così alla Francia, mentre per gli svizzeri, la pesante sconfitta segnò l’inizio della neutralità bellica, tuttora mantenuta.

#Chiese e cascine

Sui campi di battaglia sorsero diversi luoghi di culto per onorare i caduti, visitabili ancora oggi: la Cascina Occhiò ospita  un’antica chiesetta costruita sopra un tumulo di resti umani.

Nella cappelletta – ossario posta a fianco della suggestiva chiesa di Santa Maria della Neve, sono custodite numerose spoglie dei caduti. La cripta accoglie la maggior parte dei corpi, tanto da ospitare ogni anno, nella 2°domenica di settembre, la rievocazione storica della Battaglia di Marignano, manifestazione a cui partecipano, tra gli altri, rappresentanti istituzionali francesi e svizzeri.

Merita una visita la vicina chiesa di Santa Maria. La facciata si presenta con un grande arco rivestito in mattoni e riempito da una grande vetrata con telaio bianco in legno La chiesa è costituita da un unico grande vano a forma ellittica. Colpiscono le possenti colonne rivestite in laterizio che sorreggono travi lamellari e travetti sui quali si stende una copertura a doppia falda che sale dall’ingresso fino al centro dello spazio assembleare per poi ridiscendere  verso l’altare.

Sulla circonvallazione di Zivido troviamo L’azienda Agricola Cascina Carlotta, un’azienda zootecnica dove si allevano bovine da latte. Il nome “Carlotta” risale al 1644, da un contratto di fittanza in cui il podere venne appunto la “Carlotta”.

Ancora oggi ha l’aspetto della cascina tradizionale del ‘600, a corte quadrata, con le abitazioni a ringhiera destinate un tempo ai dipendenti.

La casa padronale dell’antica cascina, ancora conservata con rigore e semplicità, accoglie sull’ala di Nord-Ovest il “piccolo”, ma commovente Museo di civiltà contadina Luisa Carminati.

#La vita contadina

Luisa Carminati raccolse suoi disegni a pastello raffiguranti la vita contadina che amava tratteggiare nelle pause concesse dalla vita agreste. La raccolta dei disegni affiancata alla ricostruzione degli ambienti della cascina con gli antichi attrezzi, recuperati da fienili e granai della stessa Carlotta e da nuclei rurali vicini, ha dato vita al museo oggi intitolato alla sua fondatrice.

Camminare tra le sale del museo, aiuta a capire come Luisa Carminati fu inconsapevole precorritrice della multimedialità: le raffigurazioni d’epoca, di una chiarezza fotografica e didattica stupefacente, accompagnano in un viaggio nel tempo facendo da didascalia agli attrezzi recuperati e conservati nel museo.

La vita contadina è cambiata in meno di cinquant’anni, si sono modificati i modi di lavorare, gli attrezzi e i macchinari, le figure professionali, le abitudini. Anche la Cascina Carlotta è cambiata, ridimensionando la sua produzione incentrata principalmente sul latte.

Sono rimaste intatte, però, alcune stanze e la scuderia. Nelle piccole stanze, un tempo abitate dai lavoratori, si è cercato di riproporre l’ambiente originale dell’inizio del secolo scorso.

#Attrezzi dei contadini

Vi compaiono oggetti particolari e affascinanti come l’antica ghiacciaia in ciliegio, la cesta in ferro battuto per scolare i piatti o la “muscarola”, appesa al muro, dove veniva conservato il formaggio coperto da una sorta di zanzariera per proteggerlo dalle mosche.

Ci sono poi gli attrezzi della vita quotidiana usati dalle donne di casa, come la macchina da cucire a manovella, e i giochi dei bambini, anch’essi illustrati dai dipinti di Luisa Carminati: la trottola, la fionda, la lippa, il cavallino, le bambole di pezza, i pennini, l’aquilone.

Visitando il museo si rivivono mestieri antichi tra i quali il ciabattino, il falegname e lo spazzacamino. Vengono spiegati anche, in maniera esaustiva, i cicli di lavorazione di grano, granturco e riso e le varie fasi dell’allevamento del bestiame.

Poco più a sud, nella cascina Santa Brera, allora quartiere generale dei francesi, adesso ha sede un’azienda agricola molto attiva, impegnata nella produzione di alimenti biologici e nella conservazione diuna particolare razza bovina la Varzese quasi estinta.Animale rustico adattato allavita di montagnaa, dove oltre a produrre latte e carne, doveva anche tirare il carro e l’aratro.

#Rocca Brivio

Sulla via di accesso a Santa Brera, si delinea l’imponente profilo di Rocca Brivio, eretta sul Lambro dai milanesi, nel primo medioevo, come fortificazione a difesa del confine sudorientale minacciato dai lodigiani.

Verso la fine del Trecento, la rocca perse la funzione militare per diventare casa padronale all’interno dei terreni acquistati dalla famiglia Brivio che trasformarono nel XVII, un’arcigna roccanella loro ricca e sfarzosa dimora estiva che ancora oggi conserva una solenne atmosfera. L’edificio attuale fu costruito nel 1600 sulle rovine del castello preesistente.

Si tratta di un palazzo barocco costruito con uno schema piuttosto elaborato: la parte a nord ovest ospita una cappella gentilizia, ricca di stucchi e dorature tipicamente seicentesche.L’ingresso presenta un grande portale con un cancello in ferro battuto di splendida fattura, opera di un artigiano melegnanese del 1700, ricco di volute e arabeschi.Dal 1996 è proprietà comunale e ospita nei suoi saloni dai soffitti affrescati e dai grandi camini, mostre di pittura, concerti di musica classica e convegni di rilevanza nazionale.

#Melegnano

Il nostro fime lucente ci porta a MELEGNANO dove attraversa tutto il centro della città e riceve le acque della Roggia Vettabia quel corso d’acqua che i romani navigavano per raggiungere Milano e lungo la quale si è insediata l’abbazia di Chiaravalle.

Il nome Vettabia deriva da “vectabilis” ed è facile immaginare che i romani portassero a Milano lungo la Vettabia i prodotti agricoli della bassa pianura. In quel punto riceve anche le acque del Redefossiche, prima della costruzione delDepuratore di Nosedo portava le acque reflue di Milano.

Secondo gli storici, la fertilità della Terra Melegnanese era assicurata, soprattutto, dalla quantità d’acqua che vi scorre attraverso il Lambro, la Muzza, l’Addetta e le rogge.

Il fiume era famoso anche per la qualità delle sue acque. Nel 1300, Francesco Petrarca scrive dal Castello di San Colombano ad un amico: “ai piedi del colle scorre il Lambro, un fiume non troppo largo, ma limpido e capace di sostenere barche di ordinaria grandezza”.

Lo storico Giorgio Merula, vissuto nel XV secolo, descrive il Lambro come un fiume dalle acque chiare e ricco di pesci. Diverse testimonianze ai tempi dei Visconti attestano la limpidezza delle acque del fiume.

Antiche illustrazioni e pubblicazioni, attestano l’importanza economica e sociale del Lambro, come corso d’acqua navigabile, fonte di irrigazione per le fertili campagne e forza meccanica per la produzione industriale e di energia elettrica (ex Broggi Izar e centrali idroelettriche di San Zenone e di Sant’Angelo Lodigiano).

Abbiamo detto nei primi capitoli che le caratteristiche idrauliche del Lambro sono di tipo torrentizio con massimi in primavera-estate e tardo autunno, in funzione delle precipitazioni. I tratti compresi fra Peregallo e Melegnano, sono caratterizzati da grossi apporti idrici con rischio di esondazione, anche in occasione di piene non eccezionali, mentre tra Melegnano e la foce gli unici apporti sono quelli dei canali di irrigazione

#Le inondazioni

Il corso del fiume attraverso i secoli, non è stato mai completamente tranquillo. Ogni tanto si registravano inondazioni nelle zone basse di Melegnano.Nel secolo XVII si sono verificate diverse alluvioni: nel 1644, nel 1647, nel 1655 e nel 1686causate anche dalle piene dei suoi affluenti.

Un grosso problema alla fine del XVIII secolo era la sistemazione del corso del Lambro a Nord di Melegnano, dove si formavano permanenti allagamenti e piccole paludi malsane.  

Nel 1704 le acque del Lambro avevano travolto le case intorno alla Basilica di San Giovanni e le fondamenta della chiesa stessa e del campanile erano in pericolo.

Le prime tracce di un insediamento stabile a Melegnano sono ascrivibili con tutta probabilità all’epoca dei galli Ambroni (dacui deriverebbe anche il nome del fiume Lambro). All’epoca attorno al IV secolo a.C.

Secondo un’antica tradizione orale attestata dai canonici di Orta San Giulio, a metà del XVIII secolo, la chiesa di San Giovanni Battista di Melegnano,era una delle chiese fondate da San Giulio in persona nel IV secolo, ma non vi sono dati certi per comprovare tale tesi.Nel 1506 la chiesa venne dedicata alla Natività di San Giovanni Battista: per l’occasione venne commissionata ad Ambrogio da Fossano detto il Bergognonela straordinaria pala d’altare, tempera a olio su tavola, firmata e datata, oggi visibile nella prima campata della navata laterale destradella chiesa, che rappresenta Il Battesimo di Cristo.

Originariamente la pala, come descritta dal contratto, si presentava come un polittico. oggi rimane solo lo scomparto centrale con il Battesimo di Cristo da parte di San Giovanni, su un ampio sfondo paesaggistico.

La chiesa è arricchita anche dagli affreschi settecenteschi di Paolo Pini nel coro e nel presbiterio, si aggiungono nella navata quelli ottocenteschi dei fratelli Barabino e dei Fiammenghini. La pala d’altare raffigurante la Madonna Immacolata di Ercole Procaccini arricchisce con la sua eleganza l’omonima cappella. Opere scultoree dell’artista Vitaliano Marchini decorano la facciata, i giardini e l’interno con le formelle bronzee della via Crucis. L’organo, documentato già nel 1400, è stato realizzato nell’800 dalla famiglia Serassi.

Ogni anno, il giovedì di Pasqua, la città festeggia la ricorrenza dell’indulgenza plenaria detta Festa del Perdono concessa alla cittadina, allora Marignano, da papa Pio IV, al secolo Giovanni Angelo Medici, il 20 gennaio 1563 tramite una bolla papale, ancora oggi custodita nella basilica.

Per Milano, era stato necessaria edificare una fortezza a Melegnano per contrastare le continue scorribande dell’imperatore Federico II, nipote di Federico Barbarossa. Nel 1279, i guelfi e i ghibellini di Milano vi sottoscrissero un trattato di pace.

#il castello di Melegnano

Il castello di Melegnano si presenta attualmente con una atipica pianta a forma di “U” dal momento che una parte (quella sul retro, è andata perduta, distrutta per volere del duca Francesco Sforza nella settimana dal 25 aprile al 1º maggio 1449 quando, attaccando Melegnano, con le proprie macchine da guerra atterrò le torri e le mura che si trovavano su questo lato.

È realizzato completamente in laterizi col fronte principale verso l’attuale piazza della Vittoria che è l’unica parte conservatasi come in origine.

All’interno il castello, presenta una serie di cicli pittorici risalenti al Cinquecento, perlopiù di mano ignota, volti a celebrare la famiglia dei Medici di Marignano che ne furono i fondatori ed a lungo proprietari ed in particolare la figura di Gian Giacomo Medici condottiero e comandante militare tra i più valorosi del suo secolo. Le decorazioni, che rivestono completamente le sale al primo piano del castello, sono una pregevole testimonianza delle diverse scuole artistiche operanti in Lombardia nel XVI secolo, nell’ambito del cosiddetto manierismo lombardo. Tutte le pitture sono ad affresco con finiture a secco

Lasciamo Melegnano navigando verso Cerro al Lambro, San Zenone, Salerano e San Angelo Lodigiano