21 ottobre 1353 – Ritirato nella stanza che mi hanno assegnato nel castello del borgo di San Colombano, sul far della sera, mi accingo a scrivere al mio caro amico Guido, il mio amico del cuore, che sin dalla più tenera giovinezza ha condiviso con me questa avventura che è la vita: gli studi, i giochi, i sogni e i miei segreti pensieri. Voglio raccontargli il mio breve soggiorno a San Colombano al Lambro, solo tre brevi giorni, ma gustati con intensità.

Francesco Petrarca si accinge a scrivere al suo amico Guido Sette

Questa breve vacanza strappata agli impegni milanesi, per immergermi nella quiete della campagna lombarda, mi ristora l’anima e il corpo. Ho saputo che anche Guido ha il mio stesso sentimento, fuggire dagli impegni cittadini per scappare in campagna, anche se Avignone, la nuova Babilonia, non è così grande come la città di Milano dove da poco risiedo e non è così animata e piena di vitalità. Sono lietissimo comunque che lui abbia passato questo periodo di vacanza nella mia casa presso la Sorga, e ora che l’ho lasciata può considerarla come fosse casa sua.


“Sento che, oppresso dagli affari, hai lasciato la città e ti sei rifugiato in campagna. Lodo incondizionatamente questo partito, quando è possibile prenderlo; ma il supplizio delle cure cittadine e della vita solitaria già altra volta più a lungo ragionai, ed è argomento intorno al quale, sebbene molto abbia detto, molto ancora dirò, se mi sarà concesso di vivere a lungo.”

Francesco Petrarca a San Colombano al Lambro

Anche se non amo andare a cavallo, ho accettato volentieri l’invito di recarmi a San Colombano al Lambro, luogo che non conoscevo e che si rivelato stupendo, un vero incanto per la bellezza della posizione, dominante la pianura e ricco di una stupefacente serenità che ha cancellato la pesantezza dei miei pensieri quotidiani. Mi ha evocato la mia amata Sorga, le mie care acque, il verde vivido e l’intenso chiarore della luce del sole.
Scriverò a Guido come gestire l’orto della mia casa provenzale e, conoscendolo, sono certo che si appassionerà a questa nuova, e per lui inusitata, attività. Lo raccomanderò al mio fido fattore, Raymond Monet, che di certo gli sarà vicino con tutta la discrezione di cui è capace.
“Ti segnerò il tempo adatto a seminare le piante, che è forse, per la diversità del clima, da quello che osservano i nostri agricoltori. Dicevano codesti vecchi contadini, e soprattutto il mio, che fu uomo eccellente e praticissimo di cose agricole, che ciò che si pianta prima del 6 di febbraio, attecchisce felicemente ne mai va a male per sinistro influsso. Voi dunque, soprattutto se la luna sarà favorevole, piantate vi prego, qualche albero nuovo.”

Il fiume Lambro raccontato da Francesco Petrarca

Perciò di buon mattino, solo con due servi, sono uscito da Milano, dalla mia casa presso la basilica di sant’Ambrogio, e per vie campestri sono arrivato in questo borgo sorprendente, cercherò di descriverlo al mio caro amico in poche parole, nella speranza che riesca a visualizzarlo più o meno come l’ho visto io.
“Non ti meraviglieresti se conoscessi il luogo dove sto ora scrivendo: un colle fertilissimo e amenissimo quasi nel mezzo della Gallia Cisalpina, sul cui fianco, esposto a Borea (vento del nord) e a Euro (vento di sud-est), siede il castello di San Colombano, largamente noto per la sua posizione e fortissimo di mura. Le falde del colle lambisce il Lambro, fiume piccolo, ma limpido, adatto a navi modeste, il quale, scendendo per Monza, entra nel Po’ un poco lontano da qui. Dal lato di occidente trovi gradita solitudine, dolce silenzio e ampia veduta. Non mi ricordo di aver mai veduto da un luogo così poco elevato una vista così larga e magnifica.”

Petrarca ospite desiderato di Giovanni Visconti

Ho cercato di rifuggire gli onori ai quali mi volevano legare e, non appena ho potuto, ho cercato un luogo isolato dove ritirarmi, per riflettere su di me, sulla mia vita e di cosa desidero fare. Ho 49 anni, da pochi mesi ho abbandonato la Francia e probabilmente non vi tornerò più, ho scelto Milano come residenza e per ora mi trovo bene, Giovanni Visconti che cortesemente mi ha invitato a fermarmi nella sua città, rispetta le regole che abbiamo concordato: di non darmi troppi incarichi, di non farmi abitare presso la corte e di lasciarmi il tempo di lavorare alle mie cose, e si dimostra un grande signore, pieno di attenzioni nei miei riguardi e non mi fa mancare nulla.
So di aver scontentato i miei amici fiorentini, specialmente il mio giovane amico Giovanni (Boccaccio), il quale mi ha scritto infuriato una lettera di fuoco sul fatto che soggiornassi in terra nemica a Firenze, non gli ho risposto, con il tempo capirà.

Petrarca racconta all’amico la mancanza dei propri cari

Sento per la prima volta la necessità di una famiglia, i miei due figli mi mancano: il mio Giovanni ha solo 16 anni, non è con me a Milano, studia ad Avignone, è intelligente, almeno così mi scrivono i suoi istitutori, ma non ama i libri e studia svogliatamente, gli ho procurato un canonicato a Verona per garantirgli almeno una piccola rendita sulla quale potrà contare, spero che maturando migliori il suo carattere focoso e si orienti verso lo studio. La mia Francesca ha solo dieci anni, mi dicono sia una bambina graziosa, dolce ed ubbidiente, anche lei non è a Milano, ma ho deciso di chiamarla presso di me al più presto.
Un’altra cosa che mi manca è mio fratello Gherardo, col quale ho trascorso una infanzia felice e una giovinezza spensierata, lui ha scelto di donarsi a Dio, ritirandosi dal mondo, entrando nell’ordine di San Bruno, in una certosa della Provenza (Montrieux), invidio la sua scelta, perché chiudendosi al mondo ha scelto la sua libertà, e ora si può dedicare senza limiti allo studio e alla preghiera.

L’amore di Petrarca per i libri e lo studio

Mi manca molto anche la mia libreria, abbandonando la mia casa nei pressi della Sorga, il mio amato romitaggio, la mia Elicona (monte della Grecia sede delle muse, così chiamava la sua residenza a Valchiusa), presso la quale speravo di trascorrere tutta la mia vita. Qui a Milano ho potuto portare con me solo pochi libri caricati di fretta su qualche mulo. Chiederò al fido Raymond di inviarmi tutto quello che potrà. Senza la linfa che proviene da queste sacre pergamene, stillanti cultura ed umanità, fatico a concentrami e non ho dove sbattere la testa quando ho bisogno di una qualche consolazione letteraria.

Petrarca ricorda la sua casa di Valchiusa

Invidio il mio amico Guido, che ora si gode la mia casetta semplice e silenziosa presso le mie chiare e fresche acque e io da questo castello, dove sono lussuosamente ospitato scriverò questa lettera, per raccontargli i fatti di questi giorni.
“Sappi che sempre ch’io vedo qualche luogo ameno, subito mi tornano alla mente la mia campagna e coloro coi quali, se mi fosse possibile, vorrei trascorrere il resto della mia breve vita. A te dunque pensando e a quella casetta, non avendo meco il necessario per scriverti, affidai alla memoria questo che volevo dirti; e la memoria, quando tornai a casa, fedelmente me lo restituì; e ti scrivo stasera, in un soggiorno non da filosofo o da poeta, ma da re, quel che avevo meditato prima del tramonto del sole, solo, appoggiato ad un cespo erboso, all’ombra di un grande castagno. Addio. Il 21 ottobre, nel castello di San Colombano.”

La post-fazione

Questo mio breve racconto è basato sulla lettera, i cui brani sono evidenziati in virgolettato e corsivo, che Francesco Petrarca scrisse al suo amico Guido Sette, allora arcidiacono pressa la curia papale di Avignone, il quale si era ritirato per un periodo di vacanza presso la casa di Petrarca a Valchiusa (Vaucluse) in Provenza, casa che il nostro poeta non rivide più, ma che gli rimase sempre nel cuore e che in ogni luogo dove risiedette cercò di riprodurre. La lettera in questione è nelle Familiari, libro XVIII, lettera 5 (la traduzione dal latino è quella pubblicata da Sansoni nel 1992, utilizzando la traduzione curata da due importanti petrarchisti: Vittorio Rossi e Umberto Bosco).

Guido Sette

Guido Sette (1304-1367), destinatario di questa e di numerose altre lettere, nasce nel medesimo di Francesco Petrarca, fu suo amico sin dall’infanzia, fecero tutti gli studi assieme, divenne poi arcivescovo di Genova. Morì nel 1367 con grande sofferenza di Francesco.

Giovanni Petrarca

Il figlio Giovanni, nato nel 1337, morì a Milano nel 1361 di peste, con grande strazio di Francesco che, nel Virgilio conservato all’Ambrosiana, dove appuntava gli avvenimenti importati della sua vita, scrisse, in occasione della sua morte, questa postilla: “Il nostro Giovanni, nato per il mio tormento e il mio dolore, da vivo mi ha afflitto con gravi e continue preoccupazioni e da morto mi ha colpito con un acuto dolore, lui che ha trascorso pochi giorni lieti in vita sua”.

Francesca Petrarca

La figlia Francesca, nata nel 1343, raggiunse il padre a Milano, sposò Francescuolo da Brossano e diede otto nipoti a Francesco, assieme a suo marito passò con il padre il resto della sua vita, morì di parto nel 1384. Il genero, Francescuolo fu molto amato da Francesco, lo considerò sempre come un figlio, fu anche l’esecutore testamentario delle volontà di suo suocero.

Raymond Monet

Raymond Monet rimase sempre a custodire la casa di Valchiusa, inviò a Petrarca gran parte della sua preziosa libreria conservata in quel luogo; alla sua morte gli subentrò il figlio che ricevette la casa in eredità da Petrarca.

Gherardo Petrarca

Gherardo nato nel 1307, dopo aver vissuto sempre con il fratello, nel 1343 entrò nella Certosa di Montrieux dove morì qualche anno dopo il fratello. Il fratello Francesco gli lasciò in eredità una rendita annuale.

Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio (1313-1375) si riappacificò con il nostro Francesco, e l’amico ritrovato, dopo qualche anno, venne anche a Milano ospite di Petrarca. Anche questa amicizia, come le tante coltivate con grande passione da Petrarca, fu lunga, fedele e sincera. Nel testamento Francesco non lo dimentica e gli lascia: “cinquanta fiorini d’oro per una veste da indossare nelle ore di studio e di meditazione nelle notti di inverno.”

Testo scritto e presentato da Roberto Gariboldi, giornalista, storico e archivista della Certosa di Milano.